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giovedì 28 marzo 2024 ore 11:44:31
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giofilo
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176 Messaggi

Inserito il - 03/03/2006 : 18:44:51  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di giofilo Invia a giofilo un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
A proposito della prima lezione di oggi...

Alcuni di noi forse hanno studiato per psicologia generale un libro della Brandimonte, "psicologia della memoria", che tutto è tranne che un' "analisi fenomenologica".
Tuttavia mi è sembrato interessante il fatto che, tra le "patologie" della memoria, l'autrice cita sia la "sindrome amnestica", dovuta a lesioni cerebrali di vario tipo (ictus, trauma cranico, demenza senile ecc.) e che consiste in un dimenticare di continuo gli eventi passati (anche nel giro di qualche ora), sia la "persistenza" del ricordo.

Quest'ultima è legata a ricordi "patologici" che non possono essere dimenticati, neanche volendo. Di solito sono ricordi di esperienze (ma anche parole, o immagini) che ci hanno segnato particolarmente. L'impossibilità di dimenticarli ci pone in grosse difficoltà, che nei casi più gravi possono portare a forme di schizofrenia.

Io ho interpretato questo "meccanismo" come una sorta di "inconscio al contrario" (una coscienza a tutti i costi) che, invece di rimuovere determinati ricordi traumatici, li pone davanti alla nostra mente in modo persistente.

Penso che questa "patologia del ricordare" si possa legare a ciò che il professore ha detto a lezione riguardo l'importanza dell'oblio. L'oblio, così come il ricordo, è necessario per la nostra sopravvivenza psicofisica, per la nostra "sanità" mentale, per mantenere la nostra identità.

Insomma, anche la psicologia clinica e cognitivista non può evitare di fare i conti con quella parte della nostra mente che non si può legare a spiegazioni "mente-cervello", che non si può misurare con la "risonanza magnetica funzionale" o con l'elettroencefalogramma ed i cui processi non possono essere riportati su assi cartesiani.
Difatti la "persistenza" era solo citata nel libro, non ne era spiegato il "funzionamento", al contrario di tutti gli altri processi.



Modificato da - Giofilo il 03/03/2006 18:46:45

Biuso
Amministratore

Città: Catania/Milano


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Inserito il - 06/09/2006 : 17:03:56  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Il notiziario telematico de Le Scienze pubblica una notizia che conferma quanto siamo intrisi di memoria (e come in essa siano decisivi amigdala e ippocampo), contribuendo a spiegare alcune delle ragioni che rendono i ricordi dolorosi più forti e più persistenti di quelli piacevoli.

Ma io credo che la memoria possa essere anche educata a concentrarsi sulla gioia e in questo lavoro più che la neurologia possono servire i grandi dispositivi teoretici ed esistenziali del mondo classico, da Platone allo Stoicismo…
Ecco, comunque, la notizia:

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«La semplice aspettativa di trovarsi in una situazione spiacevole o negativa stimola l’attivazione di due aree cerebrali che favoriscono la fissazione dei ricordi. È questo quanto risulta da uno studio svolto da alcuni ricercatori dell’Università del Wisconsin a Madison alle prese con lo studio dei meccanismi che rendono particolarmente persistenti e intrusivi i ricordi di esperienze negative, come atti di violenza o la morte di qualche persona cara.

Come riferiscono nell’ultimo numero dei Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), grazie a una serie di test su volontari i ricercatori hanno identificato – sfruttando tecniche di visualizzazione cerebrale come la risonanza magnetica funzionale – due regioni chiave che si attivano quando una persona anticipa una situazione negativa: l’amigdala e l’ippocampo. L’amigdala è notoriamente associata alla formazione della memoria emotiva, e l’ippocampo partecipa alla creazione della memoria a lungo termine.

Inoltre, secondo i ricercatori, quanto maggiore è l’aspettativa di un evento negativo, tanto più forte sarà il ricordo di quell’esperienza una volta che essa sia avvenuta, rischiando di innescare un circolo vizioso, dato che quanto più solido è il ricordo, tanto più esso sarà disturbante e fonte di un ulteriore stato di ansia. Con tutta probabilità, hanno osservato i ricercatori, l’anticipazione di un evento spiacevole funge da “motorino d’avviamento” dei circuiti cerebrali che presiedono alla paura e ai meccanismi di evitazione, utili in chiave evolutiva».

© 1999 - 2006 Le Scienze S.p.A.
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agb
«verso la luce –l’ultimo tuo movimento;
un giubilo di conoscenza
–l’ultimo tuo accento»
(Nietzsche)
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Stanley
2° Livello


Regione: Italia
Città: Valguarnera


184 Messaggi

Inserito il - 26/09/2006 : 15:27:47  Mostra Profilo Invia a Stanley un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Da http://www.molecularlab.it/news/view.asp?n=1522:
Cancellare brutti ricordi? Chiave e' nel cervelletto


Cancellare definitivamente i brutti ricordi, ovvero la memoria della paura. In un prossimo futuro potrebbe diventare possibile: le ultime ricerche internazionali hanno infatti dimostrato che il cervelletto, contrariamente a quanto creduto sino ad oggi, non presiede solo all'attivita' motoria, ma gioca un ruolo importante anche per l'area emozionale. Intervenire su di esso dunque, affermano gli esperti, e' la via giusta per arrivare a fare tabula rasa dei ricordi collegati a sentimenti di paura.
E che non si tratti di fantascienza, lo dimostrano le sperimentazioni in tal senso gia' condotte in laboratorio sui topi ed i cui risultati sono molto incoraggianti. Ad illustrarli, oggi, il neurofisiologo Piergiorgio Strata, dell' Universita' di Torino e della Fondazione Santa Lucia, in occasione del II Convegno internazionale sul cervello umano in corso a Roma.
''Si era sempre pensato che il cervelletto - ha spiegato Strata - presiedesse esclusivamente all'area motoria e, dunque, al controllo dei movimenti. E' stato invece dimostrato che pazienti con lesioni al cervelletto presentano disturbi non di natura motoria bensi' legati alla sfera emozionale-cognitiva. Il cervelletto, dunque - ha affermato l'esperto - e' legato anche all' area delle emozioni''. Si tratta, ha aggiunto il direttore dell' Unita' di riabilitazione neurologica della Fondazione Santa Lucia, Mario Molinari, di ''un'acquisizione nuova: si e' infatti dimostrato che il cervelletto ha anche la funzione di regolare le nostre risposte emozionali e le nostre reazioni alle differenti situazioni''.
A questo punto, i ricercatori si sono chiesti se un condizionamento di paura possa lasciare una traccia visibile nel cervelletto. E per trovare una risposta hanno effettuato esperimenti su topi di laboratorio: i topi sono stati sottoposti ad uno stimolo acustico seguito, subito dopo, da una scossa sul pavimento della gabbia. Dopo alcuni tentativi, gli animali, sentendo il solo suono, mostravano i segni della paura che manifestavano, ha spiegato Strata, con uno stato prolungato di mobilita'. Ma questo tipo di condizionamento ha lasciato una traccia nel cervelletto del topo? ''Si' - e' la risposta di Strata - ed infatti abbiamo verificato, nei topi sottoposti alla situazione di paura, una modificazione di un particolare tipo di sinapsi del cervelletto; abbiamo, cioe', dimostrato che a tale condizionamento corrisponde una modificazione di natura chimica della sinapsi, visibile anche a distanza di un giorno''.
Ma se la paura rimane 'memorizzata' in questa particolare struttura cerebrale, mettendo 'fuori gioco' la sinapsi incriminata anche il ricordo della paura dovrebbe essere cancellato: un'operazione possibile, ha detto Strata, grazie all' ingegneria genetica. I ricercatori hanno, infatti, eseguito l'esperimento sui topi, mettendo appunto fuori uso il gene che codifica la proteina legata a quella che si potrebbe definire 'la sinapsi della paura'. Il risultato e' stato che il topo cosi' geneticamente modificato, sottoposto ad un condizionamento di paura non riesce a memorizzarne il ricordo. Un grande passo avanti, anche se il passaggio all'uomo, ha precisato Strata, non sara' immediato: ''Stiamo ora sperimentando, sempre sui topi, una nuova molecola fabbricata in Giappone - ha annunciato l' esperto - che ha appunto la funzione di bloccare la proteina legata a questa particolare sinapsi, con l'obiettivo di cancellare la memoria della paura. La molecola - ha spiegato - viene iniettata direttamente nel cervelletto con una semplice iniezione''. Un ''primo passo rivoluzionario - ha concluso Strata - per arrivare, in un prossimo futuro, a cancellare i brutti ricordi e la paura anche nell'uomo''.


La notizia è dell'Ottobre 2004,durante questi anni ci sono stati sviluppi per quanto riguarda queste particolarità del cervelletto?


Stanley
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Biuso
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Città: Catania/Milano


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Inserito il - 27/09/2006 : 16:34:37  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Non so di studi specifici sull’argomento, che però non mancheranno di certo.
Sarebbe un buon argomento per…una Tesi di laurea

agb
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Stanley
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Città: Valguarnera


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Inserito il - 27/09/2006 : 20:33:00  Mostra Profilo Invia a Stanley un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Sa www.lescienze.it:


26.09.2006
Rame cruciale per il cervello
Utilizzando topi e ratti, si è potuto riscontrare come la proteina Atp7a trasporta il rame verso le sinapsi neurali



Il flusso di rame nel cervello riveste un ruolo finora non riconosciuto nella morte cellulare, nonché nei meccanismi di memoria e di apprendimento, almeno secondo quanto esposto dai ricercatori della Washington University School of Medicine in St. Louis. I risultati della loro ricerca suggeriscono che l’elemento e la sua proteina trasportatrice la Atp7a, sono vitali per il pensiero umano. Essi hanno suggerito che variazioni nel processo di codifica dei geni per l’Atp7a, così come di altre proteine che permettono l’omeostasi del rame, potrebbero rendere conto, almeno in parte, delle differenze intellettive tra individui.
Utilizzando topi e ratti, si è potuto riscontrare che la proteina Atp7a trasporta il rame verso le sinapsi neurali. In tali siti gli ioni metallici influenzano importanti componenti che fanno sì che le connessioni siano più o meno deboli. La plasticità sinaptica – detta in termini esatti – influisce a sua volta sulla nostra capacità di ricordare e apprendere.
"Perché non pensiamo cento volte meglio di quanto facciamo?", ha commentato Jonathan Gitlin coautore dell’articolo apparso sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences”. "Una possibile risposta è che il cervello non stabilisce le giuste connessioni. Ciò che abbiamo trovato è che il rame modula eventi molto critici all’interno del sistema nervoso centrale e ciò influenza il modo in cui pensiamo.”


Stanley
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Biuso
Amministratore

Città: Catania/Milano


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Inserito il - 22/03/2007 : 22:01:13  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Intanto, gli studi procedono…
Da Repubblica di oggi: Ecco il correttore mnemonico.

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New York, un gruppo di scienziati del Centro per le scienze neurologiche ha scoperto che un farmaco può cancellare un singolo evento sgradevole.

Addio a traumi e brutti ricordi "Ecco il correttore mnemonico" .
Esperti divisi: per alcuni modificare la memoria equivale a trasformare la personalità. Secondo altri si potrebbero aiutare le vittime di attentati terroristici, stupri e incidenti

ROMA - Addio lunghe sedute dallo psicanalista o notti insonni. Presto cancellare dalla memoria un evento traumatico o, più semplicemente, un fastidioso brutto ricordo, potrebbe essere facile come prendere un'aspirina. Un gruppo di scienziati del Centro per le Scienze Neurologiche di New York ha fatto un passo avanti nella direzione indicata da tanti film e libri di fantascienza, mettendo a punto un farmaco capace di rimuovere ricordi sgradevoli che, nostro malgrado, la memoria si ostina a conservare. Per ora i test sui ratti hanno dato risultati molto incoraggianti. In un prossimo futuro la sperimentazione su volontari umani dirà se l'equipe guidata da Joseph LeDoux è sulla strada giusta.

I ricercatori sono riusciti ad intervenire sul meccanismo che regola il trasferimento dei ricordi dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine, dove risiedono i ricordi permanenti, usando un farmaco di cui già si sapeva che procurava amnesia. Ai ratti sottoposti all'esperimento, è stato insegnato ad associare due suoni diversi a scariche elettriche lievi, e quindi a temerli anche se non erano più accompagnati da scosse. Poi ad una metà dei roditori è stato iniettato l'U0126. Il giorno dopo ai due gruppi di animaletti è stato fatto quindi ascoltare uno dei due suoni: quelli che avevano ricevuto l'iniezione non ne avevano più paura. Per i ricercatori il farmaco ha impedito il "riconsolidamento" del ricordo nella memoria permanente.

La ricerca del team americano non è comunque la prima nel suo genere: già nel 2004 un gruppo di scienziati di Cambridge aveva ipotizzato di poter alterare il processo di riconsolidamento dei ricordi. Nello stesso anno, studi condotti in parallelo in Francia, Canada, California e New York, furono presentati al convegno della Società di Neuroscienze.

Ma questo tipo di ricerca apre il dibattito a problemi etici di non poco conto: anche i ricordi negativi fanno parte dell'apprendimento e quindi ci aiutano a migliorare: è giusto cancellarli? Quali possono essere le conseguenze delle modifiche chimiche ad uno dei principali meccanismi di autoconservazione dell'uomo, ovvero la paura?

Il Comitato di Bioetica della Casa Bianca, si è già schierato contro questo tipo di studi, sostenendo che modificare il contenuto della nostra memoria equivale a modificare la nostra personalità. Di tutt'altro parere Roger Pitman, psichiatra di Harvard, secondo cui la cancellazione della memoria permanente potrebbe aiutare le vittime di attentati terroristici, stupri e incidenti. Questi traumi condizionano negativamente la vita, l'emotività e la serenità di chi li subisce. Dunque questo "correttore mnemonico", potrebbe farci vivere, almeno in teoria, più felici e meno stressati. E, forse, un po' meno consapevoli.

(22 marzo 2007)

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agb
«Per realitatem et perfectionem idem intelligo» (Spinoza, Ethica, parte seconda, VI definizione)
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DonBudgetBozzo
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Inserito il - 23/03/2007 : 16:53:36  Mostra Profilo Invia a DonBudgetBozzo un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Perdonatemi, vorrei capire bene: aldilà di queste nuove scoperte, voi sareste favorevoli all'uso di una tecnologia capace di resettare i ricordi tristi e/o dolorosi?

«Non è peccato essere omosessuali, è peccato l'atto omosessuale» (DonGianniBudgetBozzo)
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Biuso
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Inserito il - 24/03/2007 : 11:42:35  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Biuso Invia a Biuso un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
La mia opinione è che si debba fare di tutto per diminuire la sofferenza e, quindi, se i progressi medico-scientifici consentono di combattere meglio le varie forme di dolore (da quella più quotidiana di un’emicrania o di un mal di denti fino a quella gravissima dei malati terminali o a quelle derivanti da ricordi ossessivi)- ritengo che sia legittimo, direi anche doveroso, il loro utilizzo e sviluppo.

Bisogna però fare attenzione a non cadere in una prospettiva riduzionistica, soltanto clinica, rimanendo invece in una dimensione fenomenologica, la quale ammette che la sofferenza è parte costitutiva della nostra natura non soltanto perché siamo un corpo che qualche volta si ammala, ma perché il nostro corpo introietta dentro di sé l’impossibilità della nostra onnipotenza, e cioè l’impossibilità di realizzare tutto ciò che desideriamo.

Facciamo un esempio, che è stato raccontato in modo eccellente nel film di Michel Gondry Eternal Sunshine of the Spotless Mind: l’essere innamorati non corrisposti è una delle sofferenze più lancinanti che si possano provare, più acuta di qualunque mal di denti, ed in futuro si potrà forse disporre di un farmaco che sedi un poco questo desiderio, questa angoscia, o che faccia dimenticare del tutto un amore infelice ma sarà sempre e solo una soluzione temporanea, perché io guarirò da quella sofferenza d’amore soltanto quando accetterò, all’interno della mia condizione umana, il limite costituito dall’impossibilità di condizionare totalmente i sentimenti di un’altra persona.

Come ogni terapia farmacologica, anche l'U0126 (o qualcosa di analogo) potrebbe costituire un’utile soluzione a breve termine ma la sofferenza umana è radicata nell’intera struttura del nostro esserci. Come lo è anche la gioia, per fortuna!

agb
«Per realitatem et perfectionem idem intelligo» (Spinoza, Ethica, parte seconda, VI definizione)
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DonBudgetBozzo
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Inserito il - 24/03/2007 : 12:25:40  Mostra Profilo Invia a DonBudgetBozzo un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
quote:

La mia opinione è che si debba fare di tutto per diminuire la sofferenza e, quindi, se i progressi medico-scientifici consentono di combattere meglio le varie forme di dolore (da quella più quotidiana di un’emicrania o di un mal di denti fino a quella gravissima dei malati terminali o a quelle derivanti da ricordi ossessivi)- ritengo che sia legittimo, direi anche doveroso, il loro utilizzo e sviluppo.

Bisogna però fare attenzione a non cadere in una prospettiva riduzionistica, soltanto clinica, rimanendo invece in una dimensione fenomenologica, la quale ammette che la sofferenza è parte costitutiva della nostra natura non soltanto perché siamo un corpo che qualche volta si ammala, ma perché il nostro corpo introietta dentro di sé l’impossibilità della nostra onnipotenza, e cioè l’impossibilità di realizzare tutto ciò che desideriamo.

Facciamo un esempio, che è stato raccontato in modo eccellente nel film di Michel Gondry Eternal Sunshine of the Spotless Mind: l’essere innamorati non corrisposti è una delle sofferenze più lancinanti che si possano provare, più acuta di qualunque mal di denti, ed in futuro si potrà forse disporre di un farmaco che sedi un poco questo desiderio, questa angoscia, o che faccia dimenticare del tutto un amore infelice ma sarà sempre e solo una soluzione temporanea, perché io guarirò da quella sofferenza d’amore soltanto quando accetterò, all’interno della mia condizione umana, il limite costituito dall’impossibilità di condizionare totalmente i sentimenti di un’altra persona.

Come ogni terapia farmacologica, anche l'U0126 (o qualcosa di analogo) potrebbe costituire un’utile soluzione a breve termine ma la sofferenza umana è radicata nell’intera struttura del nostro esserci. Come lo è anche la gioia, per fortuna!

agb
«Per realitatem et perfectionem idem intelligo» (Spinoza, Ethica, parte seconda, VI definizione)



Devo ammettere che sono scenari che mi inquietano non poco. Per me la sofferenza è per l'appunto una condizione costitutiva dell'essere umano e non è affatto una condizione statica; è una condizione dinamica che offre la possibilità di riflettere sul proprio stato e di riconsegnarsi agli altri come nuovo corpo e nuova intelligenza. Permette l'accrescimento...Peraltro chi deciderà il grado di sofferenza di una persona? La persona stessa? Immagino già simulacri di uomini pronti a donarsi - nel buio e nella solitudine delle proprie camere - a baccanali di U0126 perché la delusione d'amore ferisce mortalmente ed intanto domani bisogna timbrare il cartellino quindi meglio dimenticare...Il farmaco in pratica sostituirebbe l'incontro/scontro con l'altro che è il cuore del nostro vivere. Rinunciare al valore della rivolta/riforma/richiesta in luogo di quello dell'adattamento. Oppure a decidere sulla sofferenza di una persona saranno le burocrazie, vale a dire il grado di fungibilità di un soggetto al sistema burocratico di riferimento. Il famoso cartellino da timbrare che ritorna perché solitudine e burocratismo vanno a braccetto...Esiste una sofferenza in sé?
Se non i ricordi tristi cosa dovremmo ricordare? Le file alla Posta? Il mezzo voto perso ad un esame? I ritardi dei treni? Gioia e tristezza a mio avviso sono complementari: la diminuzione delle potenzialità di un termine significa inevitabilmente anche la diminuzione delle potenzialità dell'altro. Meno tristezza significherebbe anche meno gioia...E poi tutta l'Arte? Scomparirebbe! Già è stata scandalosamente «umanizzata»; «burocratizzarla» o «tecnologizzarla» sarebbe davvero troppo...
Non sarebbe meglio ritornare ad un'etica della responsabilità che ci consenta di riappropriarci in modo virtuoso dei nostri spazi (mentali e non) piuttosto che continuare a sottrarli? Soffrire non significa soltanto cadere in una sorta di delirio narcisitico. Significa anche responsabilizzarsi, accostarsi al profondo disagio di noi stessi e del nostro prossimo. Sono fiducioso che nel 2007 una parola amica valga ancora di più di qualsiasi farmaco e di qualsiasi microchip...

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