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 Mente & Cervello 37 – gennaio 2008

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Biuso Inserito il - 19/01/2008 : 18:39:34


Molti degli articoli di questo numero hanno in comune il tema del controllo.
A partire da quello iconico esercitato persino tramite la semplice manipolazione delle foto: ad alcuni volontari sono state mostrate delle fotografie di avvenimenti molto noti ma con l’aggiunta di elementi che in realtà nelle immagini originali non c’erano. Il giudizio sugli avvenimenti rappresentati è stato fortemente influenzato dalla presenza di quelle informazioni falsificate.

Alla manipolazione televisiva è dedicato un articolo specifico. In particolare all’influenza che la TV esercita sui bambini. Anna Oliverio Ferraris vi afferma che in generale la televisione non è di per sé buona o cattiva ma dipende dall’uso che se ne fa. Solo che subito dopo l’autrice fornisce tutta una serie di dati e soprattutto pone un insieme di condizioni che smentiscono questo assunto o, più esattamente, lo rendono del tutto teorico. Il flusso delle immagini televisive, infatti, plasma letteralmente dei cervelli in formazione come quelli dei bambini, rendendoli –a causa del loro procedere per brevi sprazzi- incapaci di prestare attenzione a scuola e ovunque per più di 15-20 minuti. La psicologa raccomanda di non trasformare la visione televisiva in una necessità di cui non si riesca a fare a meno e sostiene che «nei primi quattro anni di vita la tv è inutile: i bambini devono imparare a muoversi nel mondo reale, non in quello virtuale» (pag. 77). La tv, inoltre, è l’impero della pubblicità che rappresenta di fatto il suo «programma più lungo», anche nelle fasce pomeridiane (76). C’è anche «il rischio che messi precocemente davanti al televisore i bambini diventino dipendenti e sviluppino atteggiamenti passivi e indolenti, quando invece dovrebbero essere attivi e partecipi. Quando non sa cosa fare, il bambino teledipendente sprofonda nel divano e resta lì, con gli occhi incollati allo schermo. Chi invece non ha quest’abitudine si guarda intorno, e incomincia a pensare» (73).

Altra forma di manipolazione è quella chimica prodotta dall’LSD, che viene descritto anche nelle sue funzioni terapeutiche, tanto che «un numero sempre crescente di scienziati ritiene che le droghe psichedeliche siano uno strumento sicuro ed efficace in particolari disturbi psichiatrici resistenti al trattamento» (69).
La manipolazione digitale è data anche dal “famoso” «microchip nel cervello» , con «una nuova generazione di protesi destinate a essere impiantate direttamente nel cervello (…) le cosiddette interfacce cervello-computer, o BCI» (90), le cui potenzialità terapeutiche sono enormi, in particolare per eliminare handicap percettivi gravi.

La sezione più interessante del numero è quella a cui fa riferimento l’immagine di copertina: il corpo scolpito, modificato, modellato e dunque anch’esso manipolato. In realtà, si danno almeno tre forme di corporeità: il corpo delle esigenze, il corpo dei desideri, il corpo dei simboli. Essi si intrecciano, oggi, nelle complesse vicende del corpo normalizzato attraverso le diete, la fitness, la chirurgia estetica, una «costruzione del “corpo perfetto” [che] è frutto di pesanti pressioni sociali» (45); del corpo scritto tramite tatuaggi e piercing; ibridato mediante impianti di varia natura e attraverso le biotecnologie.

Pascal Ludwig cita Merleau-Ponty e la sua analisi della complessità fenomenologica di un corpo talmente intriso di temporalità da rendere del tutto vana, patetica e drammatica la lotta contro il tempo che le tecnologie estetiche promettono di poter vincere mediante una vera e propria aggressione dei corpi che li riduce a macchine inespressive e mostruose. «Il cliente, venuto per soddisfare un desiderio, viene ridotto a un corpo anatomico di cui il medico anticipa l’invecchiamento. Così la medicina estetica opera sul paziente una modifica mentale dell’immagine, obbligandolo a prevedere il proprio degrado futuro» (32). Ma «la vittoria del tempo è ineluttabile» e la conseguenza di questi disperati tentativi di combatterlo è «un profondo dolore morale, legato alla mancata accettazione di un normale processo della vita: quello di invecchiare» (33).

Cogliere, accettare, esaltare l’equazione tra corpo e tempo significa, invece, diventare ciò che siamo: una parte effimera e splendente dell’intero.


agb
«Filosofia è il sapere inutile e tuttavia sovrano»
(Heidegger)

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