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Inserito il - 21/04/2006 : 10:18:05
ETNAFEST 2006
Sabato 22 aprile 2006, ore 21.15 Teatro Sangiorgi Catania
STEVE MARTLAND BAND
direzione Steve Martland
sassofoni soprano e contralto Pete Whyman
sassofoni soprano e tenore Tim Holmes
sassofono baritono Chris Caldwell
tromba e flicorno Lee Butler
trombone Mike Kearsey
marimba Colin Currie
chitarra elettrica Tim Maple
basso elettrico Phil Laughlin
batteria Simon Pearson
pianoforte Huw Watkins
violino Charles Brown
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Daniele Anzalone Tarantatina
Christian Bongiorno Aragosta bollita con salsa di asparagi
Sveva Castrogiovanni Dissonanza, Perdita di sé
Filippo Consoli Elogio dell’ornitorinco
Francesco Forzisi I saw a skull
Claudia Patanè A Chinese Godfather
Joe Schittino A Glogassonic Overture
Massimo Vasta The Birds
Steve Martland (1959-)
Principia
Kick
Step by Step
Thistle of Scotland
Beat the Retreat
Mr. Anderson’s Pavane
Horses of Instruction
Terminal
Re-mix
EtnaFest presenta, in esclusiva per l’Italia, il gruppo guidato da uno fra i massimi compositori contemporanei inglesi, il geniale Steve Martland. Il celebre compositore inglese è da due settimane a Catania, dove ha tenuto un intensivo seminario gratuito di composizione per gli studenti del Liceo Musicale Vincenzo Bellini: le composizioni create verranno presentate nel corso dell’esibizione della Steve Martland Band. Martland è non solo uno fra i più affermati e innovativi autori di oggi, ma è il brillantissimo teorico di un’articolata quanto ricca interazione fra diversi linguaggi, che egli ha ereditato, portandola a nuova complessità e raffinatezza, dalla lezione di un altro celebre compositore contemporaneo, l’olandese Louis Andriessen, di cui lo stesso Martland è stato l’allievo prediletto. Chiave della musica di questo originalissimo e affascinante compositore inglese è il ritmo (non a caso Martland ha anche collaborato con un gruppo trance quale Spiritualized): un motorismo stravinskiano che si alimenta di una pluralità di fonti (jazz, rock, pop) e che s’interseca con un uso disinibito e innovativo di materiali eterogenei: echi di folk inglese, una caustica ironia che ricorda Kurt Weill, citazioni barocche come di musica latinoamericana e salsa, estesi frammenti sonori dall’epoca delle big band, improvvisi tratti di minimalismo, vibranti guizzi ereditati dall’acid rock, una marcatissima pulsazione, una scrittura estremamente sofisticata, un’accentuata quanto trascinante teatralità. Vibra l’inaspettato nella musica di Martland, in perenne quanto abilissimo bilico fra scrittura e improvvisazione, fra struttura e libera creatività estemporanea, fra coinvolgente e brillante aggressività, dando vita a una poetica che sa ammantarsi di una stupefacente ricchezza chiaroscurale. Pagine sofisticate, di incredibile energia (non a caso hanno ispirato alcuni fra i più acclamati coreografi sulla scena internazionale dei nostri giorni) che sanno però giungere all’orecchio e al cuore di chiunque, complesse ma di eccitante immediatezza: sono pochi oggi gli autori che possono vantare nei loro lavori il fascino esercitato dalla musica di questo sempre più affermato e sovversivo compositore, che ha ripreso con fremente abbandono di ogni inibizione le scoperte realizzate da autori come il già citato Andriessen, come Steve Reich e Meredith Monk.
Il corso di composizione che ho tenuto dal 10 al 21 aprile è probabilmente il primo tenuto all’Istituto Musicale di Catania. Avevo chiesto a Gianni Morelenbaum Gualberto, Direttore Artistico di EtnaFest, se fosse stato possibile organizzare all’interno della rassegna un corso rivolto a giovani compositori, per dar loro la possibilità di scrivere un nuovo brano di musica, provarlo e presentarlo al pubblico in occasione dell’esibizione della Steve Martland Band a Catania.
I nove studenti (Daniele Anzalone, Christian Bongiorno, Sveva Castrogiovanni, Filippo Consoli, Francesco Forzisi, Claudia Patanè, Vincenzo Pavone, Joe Schittino, Massimo Vasta) hanno subito mostrato un grande entusiasmo. Pur provenendo da esperienze diverse, si sono gettati a capofitto nel progetto, comprendendone immediatamente lo spirito. Molto semplicemente veniva offerta loro l’opportunità di scrivere un nuovo brano musicale in 10 giorni: avrebbero lavorato autonomamente, ma sotto la mia guida.
Il tempo è stato breve e gli studenti avevano anche altri doveri, così abbiamo utilizzato ogni momento libero disponibile. Tutti hanno mostrato una forte motivazione e, desidero sottolinearlo, un grande spirito di collaborazione, sostenendosi ed aiutandosi l’un l’altro, così che il lavoro è stato svolto in un’atmosfera di grande amicizia.
Negli ultimi giorni, i ragazzi hanno prodotto materiale per l’esecuzione da parte dei musicisti. Questa abilità professionale li aiuterà molto in futuro.
Anche i musicisti sono studenti dell’Istituto Musicale. Credo che sia di fondamentale importanza per i compositori instaurare un rapporto con i musicisti. Imparano più da un diretto contatto con loro che non da me.
Steve Martland
STEVE MARTLAND
Nato nel 1959, a Liverpool, Steve Martland è uno fra i più significativi compositori contemporanei. Dopo studi compiuti alla Liverpool University e in Olanda, sotto la guida del grande compositore Louis Andriessen (sulla cui figura l’artista inglese ha scritto e diretto uno splendido documentario, A Temporary Arrangement with the Sea, prodotto e diffuso dalla rete televisiva BBC2), Martland ha coscientemente deciso di rigettare ogni dogma accademico a favore di una disinibita pluralità di influenze musicali, sia passate che recenti, sia improvvisative e vernacolari che accademiche. Egli tende a lavorare pressoché esclusivamente con musicisti operanti al di fuori delle aree istituzionali: taluni gruppi olandesi (come l’ASKO Ensemble o l’Orkest de Volharding), inglesi (Icebreaker) e americani (ad esempio, il celebre complesso di musica contemporaneo Bang On A Can, il complesso jazz Loose Tubes, il gruppo rock Test Department), artisti free lance e, soprattutto, la propria Steve Martland Band. Ha inoltre collaborato con il celebre gruppo vocale King’s Singers e la non meno affermata percussionista Evelyn Glennie. Nell’agosto 1998 ha inoltre collaborato con il ben noto gruppo inglese di trance music Spiritualized, in occasione del Flux Festival di Edimburgo. Rivelatosi negli anni Ottanta con lavori impressionanti quali Babi Yar e Crossing the Border, Martland è, insieme a Graham Fitkin, il più interessante e appassionante compositore inglese della nuova generazione: immediatezza, libertà creativa, trascinante esuberanza ritmica caratterizzano i suoi lavori. Fortemente amplificata, muscolare, ferocemente trascinante grazie all’inarrestabile impulso ritmico che la anima, la musica di Martland, non casualmente, è stata coreografata con frequenza: Drill per la Sydney Opera House, Crossing the Border per il National Ballet di Amsterdam; Danceworks, commissionato e presentato dal London Contemporary Dance Theatre, è stato realizzato anche in molte altre parti del mondo, soprattutto dal Grand Ballet Canadien e da Ballet Tech di New York; Remix è stato premiato con il SACD Prize for Video Dance Choreography Music dopo essere stato coreografato da Aletta Collins per la BBCTV; Principia è stato usato come sigla musicale del programma della BBC intitolato The Music Machine così come per un programma della stessa BBC, Music Works, ideato ad uso scolastico; ancora Danceworks è stato inoltre utilizzato come sigla per un noto programma culturale della televisione olandese, Buitenhof. Hard Times è stato invece commissionato e presentato da Bang On A Can e dall’Australian Chamber Orchestra per i Giochi Olimpici di Sydney. Estremamente impegnato nell’insegnamento (Martland è stato nominato da Tony Blair responsabile dei finanziamenti per le scuole musicali nel Regno Unito), l’artista insegna composizione alla prestigiosa Royal Academy of Music ed ha inciso numerosi suoi lavori per la BMG e per la Black Box. La Steve Martland Band (formata da alcuni fra i migliori e più apprezzati strumentisti e solisti sulla scena musicale britannica) si è esibita con grande successo in Inghilterra, Italia, Germania, Olanda, Stati Uniti e Australia. Il compositore ha appena concluso la realizzazione di un Concerto per strumenti a percussione (solista Colin Currie), commissionatogli dalla National Symphony Orchestra di Washington, e diretto da Leonard Slatkin. Artista estremamente estroverso, personaggio di notevole spessore intellettuale, Martland non si perita di rilasciare anche dichiarazioni provocatoriamente sopra le righe. Intervistato dal noto settimanale inglese Time Out, alla domanda su quale fosse il suo più grande sogno, così ha risposto: “Prendere la classe media inglese, rinchiuderla in un campo di lavoro e costringerla a pulire i cessi con i propri spazzolini da denti”... Incalza l’intervistatore: “Come trova Londra?” Il posto più provinciale del mondo. “Che consigli darebbe ai frequentatori dei concerti inglesi?” Non pagate! Entrate in sala di soppiatto, durante l’intervallo, tanto, fino ad allora, non vi siete persi niente. Una volta usciti, chiedete alle istituzioni perché cavolo facciano così poco per la cultura e le arti.”
L’ETERNA DELIZIA DI STEVE MARTLAND
Gianni M. Gualberto
Scrive David Lang, oggi uno fra i più apprezzati compositori contemporanei americani: Le composizioni di Steve Martland accolgono un impellente impulso vernacolare nell’essere musica dei nostri tempi, della strada, della cultura ‘pop’, allo stesso tempo vantano una radicale chiarezza. E’ essenziale per questi lavori la consapevolezza di essere deposti all’interno di un conflitto e di poterlo, perciò, influenzare: è musica che esiste in un mondo politico. La musica accademica riflette l’autorità e il rispetto di ciò che si è appreso dal passato. Come il suo maestro, Louis Andriessen, Steve è un rivoluzionario. Il suo lavoro non si basa su belle orchestrazioni o note appaganti, ma su musicisti che lavorano insieme con un drastico obbiettivo: sfidare le consuetudini che abbiamo ereditato. Questa lotta riflette il conflitto di classe, soprattutto a livello politico. In un suo recente scritto, Martland evidenzia la sua dedizione alla causa: ‘Il tardo ventesimo secolo è oberato di dubbi, privo di certezze, sdegnoso nei confronti di artificiose panacee, insicuro a proposito del futuro… Questa paura del futuro ha creato una cultura della nostalgia. Il passato ha assunto la veste di un luogo infinitamente più rassicurante, in cui i problemi possono essere ignorati… Di fronte a tale massiccia regressione , nutrita da una volontà politica pari alla povertà d’immaginazione, la musica ha più che mai assunto un ruolo, non allo scopo di riflettere la realtà (cosa che ogni forma artistica fa) ma di opporsi ad essa: musica come arma contro la disperazione. Questa è la sfida che attende oggi il compositore contemporaneo… La musica dovrebbe essere una protesta a favore dei valori umani, una profezia di cambiamento. In un mondo apocalittico, essa deve poter offrire, per quanto remotamente, la possibilità di affermazione. Ancora più chiaro è il commento che Martland appone all’edizione di un lavoro dal titolo significativo come Hard Times (“Tempi difficili”): Hard Times for many other people in the world too - the poor, the afflicted, the outcast, the tortured. I cannot imagine art having any meaning outside itself unless it springs from a concern with those outcast from society. How art might directly relate to the material world is a more complex issue and I admit I have no simple answers. I can only speak for myself when I say that despite the fact that a tiny number of Americans own more money than the entire Indian subcontinent; despite the ever expanding globalization of the world by a limited number of multi-national companies; despite unnecessary homelessness in the wealthy United Kingdom; despite the absolute barbarity of the death penalty; despite the shallowness of mass consumerism in Western culture, despite all of this - and much, much more - I believe that there is still hope in something better. Because I must. I don't know if the music I compose can rise to than the entire Indian subcontinent; despite the ever expanding globalization of the world by a limited number of multi-national companies; despite unnecessary homelessness in the wealthy United Kingdom; despite the absolute barbarity of the death penalty; despite the shallowness of mass consumerism in Western culture, despite all of this - and much, much more - I believe that there is still hope in something better. Because I must. I don't know if the music I compose can rise to such lofty aspirations and I am full of doubts generally but like all of us, I go on trying and hope that the ineffable sound of music might provide an image in sound which gives us a glimpse of the world as we would wish to see it - renewed. Steve Martland è stato ed è tuttora fra i protagonisti di quella che comunemente, e un po’ banalmente, viene definita “nuova musica”, alludendo a quella generazione di compositori accademici che hanno deciso di tornare a comunicare con il pubblico, dopo decenni di avanguardie sofisticate quanto sdegnose, complesse quanto elitarie. Il verbo “comunicare” usato in tale contesto può dare adito a fraintendimenti, poiché -usi a considerare la produzione musicale cosiddetta “contemporanea” come qualcosa di astruso o, all’opposto, di così “elevato” da non consentire a chicchessia una possibile intelligibilità- si teme ormai che chi “comunica” abbia optato per compromessi o facili scorciatoie. Così non è stato per Martland, autore tutt’altro che portato –anche per radicate convinzioni di natura ideologica- per il gratuito e ammiccante compiacimento. Più semplicemente, egli appartiene a quella schiera di autori che rifiutano l’abuso delle formule, per quanto nobili o consuete possano essere, e che perciò rifiuta anche innaturali divisioni o sottodivisioni culturali, steccati artificiosi fra generi, epurazioni linguistiche, assiomi e paradigmi abitudinari, arrogandosi la libertà di utilizzare un vocabolario amplissimo, dal quale nessun linguaggio o vernacolo è precluso: I can understand that sitting in a concert hall watching an orchestra play is just not very interesting. There has to be some way of presenting music…that engages with the audience rather than musicians sitting on stage who don't even look at you. I can see why it's so off-putting for so many people - it's alienating. There's got to be an educational element to it that explains how music works to people. Facile è, dunque, riscontrare nei lavori di questo geniale compositore una pletora di materiali, di riferimenti, di echi, di argute o sardoniche citazioni, di ricordi che balenano un attimo e vanno poi ad aggregarsi in un caleidoscopico quadro animato da un inarrestabile moto cinetico. Ché il ritmo è componente essenziale della musica di Martland, ed è inscindibile anche dalla trascinante teatralità che la anima, un tratto che evidenzia il rapporto esistente fra il compositore e il suo maestro riconosciuto, Louis Andriessen, personalità grandissima della musica dei nostri tempi. Come Andriessen, Martland sembra fare uso di materiali ritmici e armonici di forza espressiva quasi elementare, resi vitali dal lucido e disinibito uso di un motorismo di chiara derivazione stravinskiana, nonché da un particolare senso d’economia nell’articolazione : ne risultano pagine contraddistinte da una concentrazione di mezzi di straordinario impatto fonico, da un’inarrestabile e propulsiva energia, da un’urgenza espressiva di rara efficacia e da inusitate sonorità (grazie a una strumentazione basata essenzialmente su sassofoni, trombe, tromboni, percussioni, pianoforte, chitarra elettrica, basso elettrico e pianoforte, che s’ispira chiaramente al jazz e al rock). Poco incline al recupero di tematiche romantiche o post-romantiche, Martland agisce all’interno della tonalità, allargando senza inibizioni il vocabolario di norma utilizzato dall’accademia: nulla è più lontano dal suo credo estetico che la cultura paludata, quella che proprio Andriessen definisce ironicamente festivalcultuur, cultura da festival, da raduno sociale, da sussiegosa sala concertistica dove si svolge, immutabile, un rituale aggregativo per ipotetici happy few. La visceralità esplosiva che anima i suoi lavori (non a caso, c’è chi li ha definiti: rock meets Reich) testimonia un processo creativo particolarmente “aperto” e disinibito, sebbene la ricchezza di materiali, la franca espressività adottata, l’impatto fonico ricercato non escludano un rigoroso senso strutturale, cui va abbinata una scrittura precisa e terribilmente esigente (l’esecuzione dei lavori di Martland richiede impegno e maestria strumentali ben al di là dell’ordinario: si consideri, a tal proposito, il virtuosismo letteralmente diabolico che richiede una composizione come Horses of Instruction). Ciò nonostante, si sbaglierebbe a pensare che Martland possa essere particolarmente incline alle istanze di un qualsiasi formalismo: l’impatto drammatico e il senso di movimento hanno, nella sua opera, una prevalenza sul tipo di processo adottato e sull’eventuale obbedienza alle regole del processo stesso. Si considerino, ad esempio, le trasformazioni cui è sottopposto un ground bass tratto da Purcell in un lavoro di straordinario fascino come Beat the Retreat, preda di reminiscenze barocche (rivisitate con fascinosa arguzia timbrica e un senso del grottesco temperato da un acidulo senso del divertissement), o frammentato e disperso per i meandri e i rivoli ritmici di una sorta big band a sua volta ironicamente funky, o sardonicamente presa da un’enfatica e frenetica danza latinoamericana. Lo stesso procedimento di scomposizione, di furibonda destrutturazione e di sofisticata ricostruzione ha luogo in una pagina come Re-Mix, in cui una nota composizione di Marin Marais per viola da gamba (e resa popolare da una pellicola come Tous les matins du monde) si avvolge su se stessa, quasi invasata rievocazione di una sorta di orchestrina klezmer riletta da Kurt Weill. Vi è della furia, indubbiamente, nella musica di Martland, nel suo desiderio di spazzare via luoghi comuni e di comunicare senza arrendersi alle pretese del compromesso: essa si esprime attraverso una muscolarità fonica che sa essere trascinante e che talvolta, nella sua indubbia spettacolarità, può indurre a sottovalutare il forte pensiero che si cela dietro al forsennato hoquetus di Horses of Instruction, alla quasi commovente danza antica di Beat the Retreat, all’esaltante melodia popolare –di modale purezza- riproposta, dopo cinque complesse variazioni, con pressoché händeliana esultanza in Kick, all’ironico temino che con stravinskiana petulanza (e non è stravinskiano anche l’incipit declamatorio di Beat the Retreat?) si ripresenta in Principia prima di assumere vesti ammiccantemente funky. Come William Blake, Martland pensa che Energy is Eternal Delight, e l’impatto fonico di lavori decisamente innovativi come Horses of Instruction (che un noto critico inglese ha definito one of the most thrilling quarter-hours of the last two decades) o Eternal Delight può essere emotivamente devastante per l’innegabile capacità di coinvolgimento che essi sanno dimostrare, fatto certamente inusuale per un compositore accademico. Il quale, però, ha mostrato di reagire violentemente alle pretese di elitismo di cui le cosiddette “avanguardie storiche” hanno dato a lungo mostra nelle loro riflessioni sulla realtà contemporanea. Per Steve Martland la contemporaneità sta nella molteplicità dei linguaggi, nella capacità di interagire con essi, di far tesoro di una ricchezza espressiva che oggi è forse più reperibile al di fuori di una sala da concerto che non al suo interno: una pagina come Terminal (scritta, non a caso, per il gruppo “trance” Spiritualized) è, in effetti, impressionante per la sua capacità di fondere scrittura e improvvisazione all’interno di una struttura che si rifà ai procedimenti fonici del rock più avanzato, elaborando in un quadro di tensione prettamente metropolitana un minimalismo di rara violenza ritmica (si notino i ritmi incrociati) che, al contempo, sa assumere anche le vesti di una raffinata psichedelia quasi ipnotizzante. Difficile, certamente, definire l’opera di un compositore così sovversivamente fuori dagli schemi, ma è probabilmente proprio ciò che egli si proponeva di suscitare, ché Martland non è certo autore che desideri essere à la page: per quanto possa sembrare peculiare, egli in realtà sembra rimeditare e rileggere l’intera cultura musicale europea dal secondo dopoguerra, ora con il gesto iracondo di chi è infastidito dal persistere di dogmi e cliché (non a caso, intervistato dal noto settimanale inglese Time Out, alla domanda su quale fosse il suo più grande sogno, così ha risposto: “Prendere la classe media inglese, rinchiuderla in un campo di lavoro e costringerla a pulire i cessi con i propri spazzolini da denti”... Incalza l’intervistatore: “Come trova Londra?” Il posto più provinciale del mondo. “Che consigli darebbe ai frequentatori dei concerti inglesi?” Non pagate! Entrate in sala di soppiatto, durante l’intervallo, tanto, fino ad allora, non vi siete persi niente. Una volta usciti, chiedete alle istituzioni perché cavolo facciano così poco per la cultura e le arti), ora con la famelica curiosità di assimilare lingue e culture per troppo tempo rese e mantenute estranee o artificialmente esotiche, ora con la malinconia di chi si riappropria della propria cultura, irrimediabilmente lontana nel tempo, fatta di mille piccoli e grandi echi, ricordi, immagini sbiadite ma ancora vivide nella mente, galleria dei ritratti di antenati affascinanti quanto ingombranti: è la malinconia raccolta, intensa, dolorosa che detta la lenta scansione, il rintocco funebre, il cupo richiamo del trombone della Pavane (altra forma antica) dedicata a Mr. Anderson, cioè quel Lindsay Anderson, grande regista cinematografico, che con un capolavoro come If dichiarò guerra alle convenzioni della società britannica; è la grazia leggera, fatta di arcaismi quanto di radicale modernità, che detta i passi, ora lievi ora martellanti, di Beat the Retreat e il suo omaggio al grandissimo Henry Purcell; è il dolente rimpianto, quel cry così costante nella cultura musicale inglese, che si dipana nel bianco e nero di Danceworks II o nella danza, tristemente languida prima e ferocemente viva poi, di Kick, o, ancora, nell’antica melodia scozzese rielaborata in Thistle of Scotland. La musica di Steve Martland, nella sua complessità, è di bachiana, cristallina chiarezza. Come ha scritto Louis Andriessen: It sounds sometimes simple, but it is complex. Sometimes it sounds very complicated, but in reality it is very clear. This is what I would call a ‘dialectical’ approach to composing, and in the long term the best attitude towards creating something that could be understood as beautiful. Poche opere musicali possono oggi vantarsi di essere così cerebrali e, allo stesso tempo, così emozionantemente coinvolgenti; poche, altresì, possono dire di riflettere con altrettanta acutezza, con il medesimo senso poetico di indignazione e di esaltazione, con la stessa ira e la stessa pietà, la nostra contemporaneità, la nostra schizofrenica, infelice e gioiosa quotidianità. Nei ritmi scolpiti da Martland v’è, in effetti, quell’eternal delight che, nonostante ogni avversità, il nostro cuore ci dona finché siamo in vita.
STEVE MARTLAND
Nato nel 1959, a Liverpool, Steve Martland è uno fra i più significativi compositori contemporanei. Dopo studi compiuti alla Liverpool University, in Olanda, sotto la guida del grande compositore Louis Andriessen (sulla cui figura l’artista inglese ha scritto e diretto uno splendido documentario, A Temporary Arrangement with the Sea, prodotto e diffuso dalla rete televisiva BBC2), e negli Stati Uniti con Gunther Schuller, Martland ha scientemente deciso di rigettare ogni dogma accademico a favore di una disinibita pluralità di influenze musicali, sia passate che recenti, sia improvvisative e vernacolari che accademiche. Egli tende a lavorare pressoché esclusivamente con musicisti operanti al di fuori delle aree istituzionali: taluni gruppi olandesi (come l’ASKO Ensemble o l’Orkest de Volharding), inglesi (Icebreaker) e americani (ad esempio, il celebre complesso di musica contemporanea Bang On A Can, il complesso jazz Loose Tubes, il gruppo rock Test Department), artisti free lance e, soprattutto, la propria Steve Martland Band. Ha inoltre collaborato con il celebre gruppo vocale King’s Singers e la non meno affermata percussionista Evelyn Glennie. Nell’agosto 1998 ha inoltre collaborato con il ben noto gruppo inglese di trance music Spiritualized, in occasione del Flux Festival di Edimburgo. Rivelatosi negli anni Ottanta con lavori impressionanti quali Babi Yar e Crossing the Border, Martland è forse il più interessante e appassionante compositore inglese della nuova generazione: immediatezza, libertà creativa, trascinante esuberanza ritmica caratterizzano i suoi lavori. Fortemente amplificata, muscolare, ferocemente trascinante grazie all’inarrestabile impulso ritmico che la anima, la musica di Martland, non casualmente, è stata coreografata con frequenza: Drill per la Sydney Opera House, Crossing the Border per il National Ballet di Amsterdam; Danceworks, commissionato e presentato dal London Contemporary Dance Theatre, è stato realizzato anche in molte altre parti del mondo, soprattutto dal Grand Ballet Canadien e da Ballet Tech di New York; Remix è stato premiato con il SACD Prize for Video Dance Choreography Music dopo essere stato coreografato da Aletta Collins per la BBCTV; Principia è stato usato come sigla musicale del programma della BBC intitolato The Music Machine così come per un programma della stessa BBC, Music Works, ideato ad uso scolastico; ancora Danceworks è stato inoltre utilizzato come sigla per un noto programma culturale della televisione olandese, Buitenhof. Hard Times è stato invece commissionato e presentato da Bang On A Can e dall’Australian Chamber Orchestra per i Giochi Olimpici di Sydney. Estremamente impegnato nell’insegnamento (Martland è stato nominato da Tony Blair responsabile dei finanziamenti per le scuole musicali nel Regno Unito), l’artista insegna composizione alla prestigiosa Royal Academy of Music ed ha inciso numerosi suoi lavori per la BMG e per la Black Box. La Steve Martland Band (formata da alcuni fra i migliori e più apprezzati strumentisti e solisti sulla scena musicale britannica) si è esibita con grande successo in Inghilterra, Italia, Germania, Olanda, Stati Uniti e Australia. Il compositore ha appena concluso la realizzazione di un Concerto per strumenti a percussione (solista Colin Currie), commissionatogli dalla National Symphony Orchestra di Washington, e diretto da Leonard Slatkin.
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