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 Soren e Regina

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Cateno Inserito il - 12/05/2004 : 11:28:47
“Misero quell’uomo che non ha mai provato l’impulso dell’amore di sacrificare tutto per amore, il quale, dunque, non l’ha mai potuto fare! Ma quando colui che voleva sacrificare tutto scopriva che proprio che proprio questo suo sacrificio d’amore poteva diventare la maggiore disgrazia dell’altro, della persona amata: cosa succedeva? Due erano le possibilità: o l’amore in lui perdette il suo slancio, si chiuse in una malinconia sentimentale; egli abbandonò l’amore, non osando di compiere quell’atto di amore, soccombendo, non sotto l’azione, ma sotto il peso di quella possibilità.[…] Oppure vinse l’amore ed egli si pose al rischio per amore. Però, nella letizia d’amore – l’more è sempre lieto, massime quando sacrifica tutto – era pure penetrato un dolore profondo perché era possibile quello! Ecco perché egli non poté compiere il suo atto d’amore, il suo sacrificio – del quale, riguardo a se stesso, egli giubilava – senza lacrime: sopra quella che chiamerei la sua epopea interna pendeva, come una nube oscura, quella possibilità. Eppure, se non ci fosse stata quella, la sua azione non sarebbe stata di vero amore.”* Così il buon Soren Kierkegaard scrive in quel magnifico e complesso testo del 1848, “La malattia mortale”. Il contenuto di tale libricino non tocca certo tale senso amoroso, è incentrato su altro ed il brano citato non è che una metafora in un più ampio contesto di cui non voglio parlare. Ma tale metafora è sola “letteratura”, chiarificazione, “vuoto” giro di parole che stanno splendidamente ma distanti ed in un certo qual modo fredde al cuore dell’autore? Per chi conosce la vita di Kierkegaard la risposta è semplice. Per chi non la conosce dirò semplicemente, per cominciare, questo: il 10 settembre 1840 il nostro buon Soren si fidanza con tale Regina Olsen, allora diciottenne; l’11 agosto 1841 Soren restituisce l’anello ed infine l’11 ottobre rompe definitivamente il fidanzamento. Nel suo “Diario” (d’ora in poi, se non specificato, citerò sempre dal “Diario”) il danese scrive: “io l’amo – ella è mia – il suo unico desiderio è che io resti con lei – la famiglia me ne supplica – è il mio voto supremo… ed io devo dire: no!” Soren la ama. E continuerà ad amarla per tutta la vita. Vedrà Regina prima fidanzarsi con un altro, poi sposarsi. Si cercheranno sempre con lo sguardo, si troveranno in chiesa sapendo le ore in cui ci si reca l’altro, egli scrive: “Io non gusto più alcuna gioia; […] mi rifiuto di essere allegro mentr’ella è rattristata.” Soren è convinto che “averla resa infelice è quasi l’unica speranza che ho di vederla felice”.
La vicenda di Kierkegaard mi ha sempre affascinato e turbato. Quando dopo aver letto “Aut-aut” e “Timore e tremore”, comperai e lessi il diario non dico che fui in preda a spavento ma quasi. Per usare le parole di una ragazza, cui sono e soprattutto fui molto legato, Kierkegaard è quasi un mio alter ego. Abbiamo la stessa sfrenata e malinconica allegria, la stessa tristezza nostalgica che si insinua in ogni momento felice, lo stesso timore di essere una costante infelicità per coloro che più amiamo. Il diario di Soren, anche se ci stiamo occupando solo di questo particolare ma fondamentale aspetto, è ricco di vita, di poesia, di filosofia. In Kierkegaard non c’è mai una netta distinzione delle tre cose e anche questo, pur se nel mio caso avviene in grado ovviamente minore poiché non mi ritengo d’eguale statura intellettuale, ci accomuna.
Eppure, c’è qualcosa che ancora mi sfugge: perché non parlarle? Perché non aver fiducia nell’amore, proprio lui che scrive nella “Malattia mortale”: il peccato di disperare dalla remissione dei peccati è lo scandalo? Perché quest’intima e dichiarata anche a Regina convinzione che “in ogni generazione c’è sempre qualche uomo destinato a esser sacrificato per gli altri”? Soren è d’una meticolosità che solo gli innamorati conoscono nell’annotare anche più volte ed a distanza di anni tutti gli avvenimenti importanti della sua infelice storia. Dopo 12, ben 12!, anni nel giorno dell’anniversario scrive: “Lei naturalmente non mancò di trovarsi al posto solito per incontrarmi.” Ma perché, cercandosi e trovandosi, non hanno avuto al forza per parlarsi? Perché Soren continua a parlare di “pungolo nella carne” giustificando anche così l’impossibilità della felicità di lui e Regina assieme?
E, per concludere con le ultime parole della parte del Diario dedicata a Regina, il “Rapporto a Regina”, perché la natura profondamente religiosa di Kirkegaard lo sprofonda nel “Timore e tremore”? Perché, anziché stare con Regina, provare a redimere se stesso e lei in un’unione spirituale e profonda eliminando anche le difficoltà corporali del “pungolo nella cane”, perché concludere, appunto il “Rapporto a Regina” facendosi carico di “una sua (di Regina) frase enigmatica – una frase ch’ella non comprese ma la capii tanto meglio io – quando una volta, nella sua pena, mi disse: <<Dopo tutto tu non puoi sapere se forse non sarebbe un bene anche per te che mi fosse concesso rimanerti vicina>>. Ecco questo è timore e tremore!”?
Sono domande a cui non saprò mai rispondere. Forse anche perché quello che ha fatto Soren l’ho fatto anch’io in forme diverse; forse perché quello che ha fatto Soren lo facciamo tutti ogni giorno in forme diverse. Forse perché, come sempre, l’eccesso di qualcuno è il comportamento di ciascuno di noi portato al limite. Forse perché, come cantava Guccini, “siam tutti uguali ed è nostro destino tentare goffi voli d’azione o di parola, volando come vola il tacchino”.
Questo è stato il mio intervento più lungo. Non lo voglio rileggere. Non so cosa rispondere ad un intervento del genere. Magari si può rispondere con un’altra storia come questa oppure con un tentativo di spiegazione del comportamento del mio buon Soren. Mah! Spero di non avervi annoiato. A presto!




*Mi scuso di questa lunga iniziale citazione. So che non è bello cominciare con una citazione, specialmente di siffatta estensione, ma spero che non me ne vorrete male, sia perché scriviamo in questo forum per puro piacere di discussione e arricchimento culturale, sia perché giustifico il mio esordio con l’estrema significatività di del passo riportato per quello che ne seguirà.



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