V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
Cateno |
Inserito il - 22/10/2004 : 16:35:15 Il cristianesimo, salvo tentativi volti a renderlo meno attaccabile o più accettabile, considera l’uomo come alcunché di essenzialmente extra-mondano, sia per quanto riguarda la provenienza sia rispetto alla meta. In quest’ottica, il mondo è un ostacolo da rimuovere. L’uomo è visto dinanzi a Dio. Congiuntamente, la visione cristiana della storia da un lato considera quest’ultima come avente, anch’essa, una meta, e dall’altro trova il senso della storia stessa in questa meta: la seconda Venuta, il Giorno del Giudizio. Oltre che ad avere ricadute strettamente storiche, quale la considerazione di una storia che non può fare a meno di essere cattiva, colma di guerre e di ogni malvagità (proprio perché altrimenti, cioè con una storia “buona”, sarebbe inutile l’attesa di una salvezza), ciò contraddistingue anche il Tempo del cristiano: l’esistenza cristiana è una grande vigilia, si deve essere preparati alla venuta del Signore. Ora, si capisce che in questo modo il Tempo del cristiano è il futuro, ma il futuro come attesa. Discorrendo di questo durante una lezione del prof. Raciti, ho posto la seguente domanda: può il pensiero di Heidegger essere considerato in netta contrapposizione a questi assunti cristiani? L’esserci heideggeriano è un ente costitutivamente intra-mondano, è un essere-nel-mondo, ha a che fare col mondo, l’essere-nel-mondo dell’esserci è un avere e prendersi cura. Anche per l’esserci l’essere futuro è il modo d’essere; però questo è un futuro del quale ci si prende cura, è un precorrimento del non più dell’esserci ma non come richiesta del “quando” e del “quanto”, cioè come domanda sul non-ancora-non-più, sul quanto ancora mi resta, bensì del non più in quanto estrema possibilità dell’esserci. L’attesa cristiana e il non più dell’esserci sono entrambi indeterminati ma certi; tuttavia l’attesa chiede “quando?” mentre l’esserci precorre, anticipa il non più. A lezione non abbiamo avuto modo di concludere la questione, che quindi è rimasta in sospeso con l’intento di proseguirla la prossima volta, ma qui dico solo che il prof. Raciti mi ha spiegato che il problema è in realtà complesso e che, però, egli considera Heidegger un cripto-cristiano, ovviamente motivando chiaramente la risposta. Sulle successive discussioni riferirò e anzi vi invito a seguire le lezioni del prof. Raciti, sempre disponibile e cortese, che sono veramente ricche e molto molto stimolanti. Voglio però sapere cosa ne pensate!
|
1 U L T I M E R I S P O S T E (in alto le più recenti) |
Sinclair |
Inserito il - 27/10/2004 : 23:16:22 Per Cateno: “Heidegger e il cristianesimo”, che tema importante e stimolante nonché complesso, forse troppo per essere qui affrontato esaustivamente. Comunque proverò a riportare qualche mia riflessione a riguardo. La domanda da te posta al prof. Raciti mi sembra molto fondata, e la sua risposta molto significativa. Pur condividendo le interpretazioni del pensiero di Heidegger che insistono sulla continuità piuttosto che su una cesura netta tra le varie fasi della sua riflessione, credo che forse sia comunque lecito distinguere tra un “primo” ed un “secondo” Heidegger proprio a proposito della questione da te sollevata. Credo sia corretto vedere una “netta contrapposizione” tra la concezione dell’uomo delineata con l’analitica esistenziale di Essere e Tempo e la concezione cristiana dell’uomo nonché del mondo, della storia, del tempo. Forse però tale distanza si assottiglia con la riflessione successiva di Heidegger sino a diventare una nascosta vicinanza, legittimando addirittura una definizione del filosofo come “cripto-cristiano”. Mi riferisco a tematiche e concetti ricorrenti come l’Ereignis, l’attesa del “Geschick” dell’essere e di una svolta epocale, il superamento della metafisica e del nichilismo, il “nuovo inizio”, e così via…E poi c’è quella frase sibillina, “Ormai solo un Dio ci può salvare”; si tratta di temi che sembrano mostrare una certa tensione religiosa in Heidegger e forse anche la vicinanza alla concezione cristiana della storia e del tempo, legata all’escatologia e al messianismo. Forse si tratta di una lettura azzardata ma non credo infondata. Come tu hai scritto, il senso dell’esistenza per il cristiano è proiettato nella meta ultraterrena mentre l’”Esserci” heideggeriano è un essere-nel-mondo e la morte è “la possibilità dell’Esserci più propria, incondizionata, certa”. Il senso dell’esistenza è racchiuso in quest’orizzonte. Mi chiedo però se questo tema fondamentale viene affrontato in maniera diversa dal “secondo” Heidegger e se la speculazione successiva del filosofo non è anche segnata dal tentativo di superare la radicale negatività della formula “zum-tode-sein”, essere-per-la-morte, nell’ambito di un discorso generale da lui svolto e caratterizzato a mio parere da una forma di agnosticismo –simile in parte a quello kantiano- su molte questioni fondamentali, questioni che Heidegger sembra lasciare aperte in attesa di una futura risposta, di un futura “epoca”. A questo proposito credo che un tema determinante sia il confronto con il pensiero di Nietzsche, visto come un tentativo di superamento da parte del “secondo” Heidegger, ma non mi dilungo su questo. Spero di non aver travisato la questione e di aver apportato un contributo alla discussione; comunque, Cateno, informaci sugli sviluppi del discorso con il prof. Raciti.
|
|
|